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L'arte e la grazia di Erica Mou

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di Nazzareno Carusi Ma quant’è brava Erica Mou? L’ho sentita ospite di un’edizione vivacissima del Solarolo Festival, sabato scorso. È una miscela naturale, quindi sapientissima, di talento, intelligenza, capacità d’inventare storie sonore e musicalità. Con la chitarra suonata un po’ a dita e un po’ a plettro, toccata in più punti della cassa armonica che emettessero suoni ogni volta diversi da loopare, cioè da far ripetere di continuo (insieme con quelli della voce) alla base musicale, s’è accompagnata in tre canzoni una più bella dell’altra. Compresa Nella vasca da bagno del tempo, che a Sanremo me la fece amare, prima colpito male da una timidezza che sembrava soverchiare la bravura, poi sempre più convinto che il talento stesse saltando fuori prepotente e fino al premio della critica, quando twittai esultante per Panorama che ogni tanto la Cartastraccia ci capisce. Erica è una meraviglia della musica italiana.
C’era la gara, a Solarolo, e io ero in giuria. La musica vive d’emozione, è bella o brutta e chissenefrega dei cataloghi. Classica, pop, jazz e tutto il resto appresso sono luoghi diversi di paradiso unico. Basta steccati, disse Lucio Dalla insieme a me su Canale 5 prima di cantare il Nessun dorma. Quanta ragione aveva! Insomma, ero là e il verdetto della commissione, risultato di votazioni fate benissimo, con tanto di nome e firma del giurato su ogni scheda, non corrispondeva alla mia classifica. Càpita, e non pretendo certo la ragione. Ha vinto Francesca Mazzucato, ma io avevo dato 10 a una 16enne che era le sette bellezze: Camilla Bilotti da Prato, voce calda e luminosa come i suoi capelli, intonatissima. Oh, chiariamo, prima che salti l’uzzo a qualcheduno d’accusarmi di lascivia (e di sti tempi si sa mai): io sono innamorato perso di Barbara Valli da Ravenna, punto, vedo solo lei e l’altra sera era con me. Qui sto parlando d’arte, di una cantante che ha un fascino ancora acerbo ma totale. Deve studiare tanto, moltissimo, e gliel’ho detto. Anzi, ne ho parlato direttamente con sua madre, giusto per mettere le cose in chiaro. Vada da un grande insegnante, uno che sappia qual è il discrimine fra la libertà dell’ugola, l’arte musicale, il talento proprio, la voglia sacrosanta di esibirsi che ha ogni gioventù così dotata (e non sarebbe giusto conculcare), e la salute delle corde vocali. Essì, perché le urlatrici e gli urlatori sono ovunque, a Solarolo come a Sanremo. E vincono, con l’impressione brutta che più si strafaccia, più il vertice stia lì a portata di decibel. No. Erica Mou dimostra che l’arte è fatta di due cose, due sole, talento e grazia. Capìto? Grazia, nel senso divino d’eleganza. Altro non serve. PS Nel paesino dov’è nata la Pausini, c’era la Paladini Band ad accompagnare live tutti i concorrenti. Una cannonata, giuro, da non credere, bravissimissimi: Valentina Cortesi, Ale D’Altri, Damiano Drei, Yuri Gaudenzi, Davide Lavia, Giovanni Sandrini, Rodolfo Valdifiori, Margherita Vannini, Marco Vita e Marco Zoli. Dirigeva Giuseppe Zanca. Roba seria seria seria.

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